Un manuale d’istruzione che possa fare comprendere le novità in gioco è necessario: le pensioni più basse da gennaio sono un duro colpo. Motivazioni e gestione per i cittadini.
Se c’è un argomento sul quale viene difficile scherzare, questo riguarda proprio le risorse dei contribuenti. Il risparmio è un tema caro, ma l’ultima conferma spiazza poiché attua una modifica inaspettata proprio laddove si aspettavano novità “positive”. Sì agli aggiornamenti, ma non in negativo. Il sistema stravolge tutto, a partire da gennaio 2025 le pensioni saranno più basse, ma non di poco. Nuove preoccupazioni che spiazzano. Ci sono soluzioni?
Indagare sul perché le pensioni siano più basse a partire da gennaio è il primo punto della questione. Non basta dire che l’importo sarà minore, poiché non è una questione che riguarda tutti, perché al tempo stesso occorre far riferimento al fatto che ci sono diverse tipologie di lavoratori. Ognuno ha la propria condizione previdenziale. Quindi, l’impatto in negativo non sarà per tutti allo stesso modo. Ma la dinamica è pressocché la stessa.
Questo perché a parità di contributi versati la diminuzione salta all’occhio: biennio nero 2025/2026. Assurdo che ancora l’anno corrente debba terminare, e già ci sono notizie pessime per quanto accadrà nel prossimo. Insomma, ci vuole una strategia per far fronte ad una situazione critica.
A comunicare la novità è il Decreto direttoriale 436 del 20 novembre 2024, il quale non lascia spazio ai dubbi. È confermato, chi va in pensione nel 2025, avrà un trattamento minore rispetto a chi con la stessa condizione contributiva, ci è andato a fine 2024. Cosa fare?
Come già accennato è il il decreto direttoriale 436 del 20 novembre 2024 a comunicare la ragione della diminuzione degli importi. Si tratta del settimo aggiornamento quando si parla del biennio nero 2025/2026, e si constata che se ne sono succeduti 6 negativi ed uno solo positivo, quello del 2023/2024. Tutto parte da quanto versa al mese ciascun lavoratore, e da lì il calcolo.
Per determinare l’ammontare della pensione occorre tenere conto dei contributi versati nel sistema contributivo. Il totale di quanto versato viene calcolato in relazione ad un coefficiente di trasformazione, il quale è l’elemento che causa la diminuzione delle pensioni. Non che sia colpa del dato in questione, ma del fatto che quelli utilizzati sono stati modificati, e di conseguenza abbassandosi, causano un depauperamento dell’importo.
Come già accennato, l’unico aggiornamento che ha comportato un aumento è stato per i coefficienti del 2023/2024, garantendo un vantaggio ai lavoratori, ma negli altri no. Ci sono state delle grosse perdite per i pensionati, e così sarà anche per i due anni a venire. Secondo il quadro in vigore, chi va in pensione a 57 anni avrà un coefficiente di 4,204%, a 58 anni 4,308%, a 59 4,419%, a 60 4,536%, a 614,661%, a 62 4,795%. E ancora a 63 anni 4,936%, a 64 5,088%, a 65 5,250%, a 66 5,423%, e per ultimo a 67 5,608%.
In sostanza, si tratta di percentuali che determinano un calcolo poco conveniente. Se un lavoratore va in pensione nel 2025 con un apporto contributivo di 400 mila euro a 67 anni, invece di ottenere una pensione di 22 mila euro l’anno circa, e al mese 1760 euro lordi, otterrà circa 35 euro in meno.
Insomma, se si può andare in pensione in anticipo sfruttando le altre vie, questo è un momento per farlo. Altrimenti, è constatato al 100% che le nuove percentuali dei coefficienti di trasformazione uniti al montante contributivo non daranno somme vantaggiose.
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